Per affrontare le sfide climatiche del futuro in arrivo una nuova vigna che resiste ai cambiamenti
“L’estate più calda” – Sarà forse bene cambiare i titoli dei giornali con frasi, a seconda dei punti di vista, più ottimistiche o dal lieve sapore sarcastico quali “L’estate più fredda che vivremo”. Già, perché probabilmente la situazione non migliorerà di certo in un futuro, almeno prossimo.
Il martellamento mediatico sul cambiamento climatico da parte di istituzioni, enti di ricerca, università, bambine con le trecce, non ha, fino a questo momento, portato a tangibili inversioni di tendenza nelle scelte politiche globali; mentre, al contrario, gli effetti su un pianeta sempre più in sofferenza si mostrano ogni giorno nella propria immediata e significativa portata. Un dato pescando dal mazzo: secondo Copernicus, il servizio di monitoraggio climatico e meteorologico europeo, il mese di luglio 2023 è stato il più caldo mai registrato.
Sorge il dubbio che i negazionisti del cambiamento climatico vivano in una cella frigorifera per non accorgersi di questi aumenti di temperatura o, forse, che siano accaniti fan delle saune finlandesi.
Di certo sembrano apparire sordi davanti al coro pressoché unanime della comunità scientifica che, in ogni occasione, evidenzia la stretta correlazione tra gli stravolgimenti climatici in atto e l’azione antropica. In questo senso, il CNR, tramite il suo Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima, ha spiegato che negli ultimi 150 anni le concentrazioni di CO2 sono aumentate di oltre il 40%, passando da 280 ppm a più di 400 ppm (parti per milione): un fenomeno non a caso iniziato a partire dalla rivoluzione industriale e quindi – secondo i ricercatori – per il 90-95% di origine incontrovertibilmente umana.
Più CO2 non significa solo innalzamento delle temperature, ma anche proliferazione di fenomeni climatici estremi. L’ultimo rapporto di Legambiente per il progetto Osservatorio Città clima mette proprio in risalto questa situazione. Nel 2022 – si legge nel dossier – l’Italia ha registrato un incremento del 55% di eventi meteo-idrogeologici di questo tipo rispetto al 2021: siccità, grandinate, trombe d’aria, vento, allagamenti, alluvioni. E quindi che si fa? Ai grandi obiettivi, dal taglio un po’ sloganistico, dei decisori mondiali , europei e nazionali, si integrano azioni a “gittata breve” che quantomeno hanno il pregio di affrontare la realtà quotidiana nel mondo segnato dai cambiamenti climatici: un approccio dal basso per provare, almeno nell’immediato, a non morire di caldo o di fame.
Vigneti resilienti – Mission che nel territorio piacentino si è posto Resil Vigna, progetto finanziato nell’ambito del Psr 2014-2020 della Regione Emilia-Romagna, coordinato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, con la partecipazione di quattro realtà vitivinicole locali: I Salici, la Tenuta Pernice, la Cantina di Vicobarone e l’azienda Villa Rosa. Come già risulta chiaro dal titolo, obiettivo del progetto – durato quattro anni, con pausa forzata imposta dal covid, e i cui primi risultati sono stati recentemente illustrati in un convegno – è stato quello di indagare le possibilità di miglioramento della resilienza idrica dei 5.300 ettari di vigneto dei colli piacentini.
“Un territorio molto siccitoso – afferma il professore dell’Università Cattolica Stefano Poni, coordinatore dello studio -: siamo in una zona dove la viticoltura è sempre più schiava di questo problema. Senza arrivare agli estremi della Sicilia, la situazione è comunque delicata e così la competitività economica diventa difficile”.
Il progetto – Interfacciandosi con gli agricoltori e andando ad operare direttamente nei filari, con tutte le difficoltà annesse – “ci si sono messi di mezzo la brina, la grandine, i cinghiali” – Resil Vigna ha quindi provato ad agire su questa criticità seguendo quattro filoni di intervento. “Il primo è stato quello dei portainnesti – spiega Poni -, ovvero gli apparati radicali della vite, da cui dipendono le modalità con cui queste si adattano allo stress idrico: il problema è che ad oggi praticamente non ne esistono di alternativi ai tradizionali, di origine in prevalenza americana.
Nel progetto ne abbiamo valutati alcuni appartenenti alla serie M e tra questi uno su tutti, l’M4, si è dimostrato di discreta efficacia: questa particolare tipologia, infatti, resiste meglio allo stress rispetto alle altre. C’è poi la parte del progetto che si è focalizzata sulla chioma della vite e sul contrasto delle “scottature” sull’uva, le quali compromettono la qualità del vino. In questo senso, abbiamo visto come funzioni bene il caolino. Si tratta di un’argilla bianca, inerte, dal basso costo e con un principio di funzionamento infallibile: la riflessione della luce. Certo, all’occhio l’effetto non è dei migliori e potrebbe far storcere il naso ai puristi dell’estetica della vigna, ma però è una soluzione abbastanza efficace.
Terzo fronte del progetto è stato quello relativo alla gestione del suolo. La necessità in questo caso è quella di evitare che la poca pioggia che cade venga dispersa: per far ciò diventa fondamentale incamerare e filtrare gradualmente l’acqua piovana nel terreno attraverso tecniche di conservazione idrica nel vigneto. Con Resil Vigna abbiamo agito automatizzando il processo di creazione e distribuzione del sovescio, un cotico erboso tradizionalmente utilizzato al termine della vendemmia dagli agricoltori. Quando questi si sviluppa, viene solitamente tagliato e interrato, generando una concimazione organica capace di trattenere umidità e risparmiare acqua, la cosiddetta pacciamatura. L’ultima parte di Resil Vigna, invece, ha riguardato invece il cosiddetto Smart farming e le tecniche di informatizzazione dell’agricoltore”.
“Fare viticoltura rischia di non essere più competitivo” – Ampliando lo sguardo, Poni traccia un quadro ben più complesso. “La siccità è solo uno dei problemi in vigna, a cui si aggiungono tutta un’altra serie di eventi estremi – evidenzia -: brinate primaverili, grandine, ondate eccessive di calore. Almeno uno di questi fenomeni, ormai, almeno una volta all’anno arriva con frequenza statistica. Così si fa fatica a stare a galla. Continuando così si arriverà a un punto in cui fare viticoltura non sarà più competitivo e questo limite non lo vedo molto distante”.
“Le nostre sono pezze, serve cambiare la mentalità” – Insomma, al massimo si resiste. Resil Vigna sembra quasi il paradigma di una “realpolitik” generale sul tema clima che, ad oggi, appare l’unica via di contenimento, ma non di contrasto. “I nostri sono interventi di adattamento, in piccola parte anche di mitigazione – riflette Poni -. Sono delle pezze. Certo è che se tutti facessero la propria parte, gli effetti positivi sarebbero più tangibili”. Il vero salto di qualità necessita quindi di un cambio reale di mentalità. “La sostenibilità ha bisogno di innovazione: produrre il massimo, alla qualità desiderata, al costo minore nel rispetto dell’ambiente. Un concetto vecchio di almeno 50 anni!”.
Andrea Barca